L’esigenza di trasmettere la propria lingua madre ai figli è profondamente radicata in ogni persona. La lingua è una parte significativa del patrimonio che ognuno lascia alla propria posterità ed è difficile, per chi non abbia vissuto le lacerazioni conseguenti all’emigrazione, comprendere quanto sia doloroso vedere che questa catena ereditaria si interrompe prima di poter collegare i propri figli. Questo spiega l’impressionante fiorire di corsi di Lingua Madre a cui le diverse comunità linguistiche dei migranti danno vita non appena raggiungono un minimo di stabilità.
La lingua araba ha sicuramente un posto d’onore tra questi: per rimanere in ambito bolognese, è stata tra le prime lingue insegnate in città per opera di migranti e oggi è sicuramente la lingua più insegnata, al punto che è davvero difficile stimare quanti bambini e ragazzi siano coinvolti, ma sicuramente centinaia! Ormai i corsi di arabo vengono offerti nelle moschee, in spazi comunali come il centro Zonarelli e sempre più spesso in plessi scolastici durante l’orario extra-scuola, come alle scuole Romagnoli del Pilastro, dove opera l’associazione Al Ghofrane, le scuole Gualandi in S.Donato, storico corso del’ass. La Jeunesse marocaine, o le scuole Giovanni XXIII della Barca, con l’associazione Le altre voci di Afkar, con cui collaboriamo da anni.
L’ultimo nato, e ne siamo molto orgogliosi, è il nostro corso che ha aperto il 20 ottobre 19 alla Bolognina: grazie all’attivismo della nostra presidente Fatima Edouhabi che ha stretto un patto di collaborazione con il quartiere, i locali comunali al pian terreno di via Albani 2 alla domenica mattina dalle 10 alle 13 si riempiono di bambini in età scolare che vengono a studiare l’arabo.
A questo punto di solito scatta automatica l’obiezione: ma se sono di famiglie arabofone l’arabo lo sanno già! piano, siamo proprio sicuri? innanzi tutto bisogna intendersi: quale arabo sanno (se lo sanno)? perché nei paesi arabi esiste una forte diglossia, ossia la presenza contemporanea di due diverse lingue: una colloquiale o dialettale (che, in determinate regioni, come il Marocco, può arrivare ad essere molto diversa dall’arabo standard), utilizzata in ambito domestico e nel registro colloquiale e solo in forma orale, e una ufficiale, definita arabo standard o letterario, utilizzata nei contesti più formali e unica lingua scritta. E’ ovvio che in famiglia i bambini imparano la lingua dialettale tipica degli scambi informali e senza un intervento didattico strutturato rimarrebbero esclusi dalla lingua scritta, colta e formale.
Ma del resto, se anche la diglossia araba non fosse così marcata (per alcuni aspetti immagino che assomigli un po’ a quanto è avvenuto da queste parti quando il latino ha lasciato il posto ai “volgari”) provate a immaginare a una persona qualunque che venga deprivata, nel suo sviluppo, dal normale supporto scolastico alla propria lingua madre: non saper leggere, non avere alcun accesso ai settori specialistici della propria lingua (linguaggio scientifico, matematico, ma anche il registro letterario), non poter decodificare un quotidiano… non sarebbe una bella cosa no?
E c’è un ulteriore aspetto, forse ancora più importante perché interagisce con l’evoluzione psicologica del bambino: la nostra lingua madre è parte di noi, ci è stata trasmessa dalla nostra famiglia, è un potente ramo delle nostre radici, in qualche misura ci identifica, che lo volgiamo o no. Nella vita potremo prendere le distanze dalle nostre radici, rielaborarle e compiere percorsi che possono anche portarci lontano, eppure le radici rimangono a costituire il primo nucleo della nostra identità. Negarle, disconoscerle, o peggio, disprezzarle può determinare dolorosi conflitti nella personalità in evoluzione del bambino. Al contrario, incontrare figure autorevoli appartenenti alla cultura della propria famiglia, poter mantenere un dialogo con i propri nonni, ricevere gli strumenti per conoscere quella cultura dall’interno e non solo dalle rappresentazioni incomplete o distorte che la società rimanda può essere di grande aiuto.
Perciò quando qualcuno ripete il trito refrain che sarebbe “uno spreco insegnare l’arabo agli arabi” (con il conseguente corollario che l’unica cosa importante sarebbe l’italiano, o al massimo l’inglese), non dategli retta, e ringraziate invece Fatima per il lavoro di organizzazione e le maestre Jamila e Amal per il prezioso servizio che stanno rendendo alla società tutta!
articolo di Antonella Selva