Sapevate che esistono centri sparsi in tutto il mondo che iniettano di cultura italiana città estere? Se generalmente in questa sede parliamo di un’alterità che arrichisce la nostra cultura locale, in particolare quella bolognese, questa volta invece vi raccontiamo del processo opposto! L’Italia e l’italiano rappresenta un’alterità all’estero, con la crescente fuga di cervelli e una emigrazione che non si è mai fermata, la comunità italiana è presente in ogni continente del globo.
Perchè noi italiani migriamo? Le ragioni sono molteplici ovviamente, ma sebbene con condizioni economiche e sociali più favorevoli rispetto al migrante di cui si parla generalmente sui telegiornali, il migrante italiano parte per le stesse motivazioni: cercare un futuro migliore.
E’ così che sono nati gli Istituti Italiani di Cultura, i primi vennero fondati negli anni 30, ma il bum fu a seguito della Seconda Guerra Mondiale. Istituiti da un decreto regio del 1926 le loro funzioni erano per lo più di carattere diplomatico e in secondo luogo fungevano da centro per le comunità di migranti. Tutt’oggi sono costola del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, punti di riferimento per la promozione, la conservazione e la produzioni di attività culturale. Lo scopo non è solo di intrattenere la comunità italiana locale, ma soprattutto di creare dei collegamenti tra la scena culturale italiana e quella locale. L’Istituto Italiano di Cultura rappresenta la vetrina dell’Italia ed è fonte di informazioni aggiornate sul “Sistema Paese”, ma soprattutto è centro propulsore di iniziative ed attività di cooperazione culturale. Ogni anno organizza corsi di lingua italiana e promuove centinaia di eventi cercando di toccare tutte le forme artistiche possibili e immaginabili: poesie e scrittura, film, conferenze e seminari di approfondimento, concerti, spettacoli di teatro o di danza, mostre di scultori, pittori e tanto altro ancora.
Dalla mia esperienza di tirocinio all’Istituto di Edimburgo, posso affermare che il pubblico che risponde al richiamo delle attività culturali italiane sono per lo più i locali, attratti dal bel paese per motivi turistici o dalla creatività dei giovani talenti e della cultura classica. Il ponte che il centro crea tra italiani e locali è un rapporto tra produttore italiano (o nel mio caso italo-scozzese) e consumatore locale.
Interessante notare come la cultura sia utilizzata all’estero come volano per arricchire gli scambi commerciali e turistici e migliorare i rapporti di cooperazione internazionale. Che la cultura, italiana e non, sia alla mercé dell’industria economica è chiaro da tempo. Sorprende pensare come, quello che un tempo era un popolo di emigranti mal visto, oggi si faccia forza della storia che ha attraversato la penisola, delle grandi menti che l’hanno abitata e di tante tradizioni, per dare un’immagine più che accattivante agli stranieri. In questo modo, sebbene la cultura (e tutto ciò che esso significa) sia l’ultima delle priorità nelle agende economiche della politica interna, all’estero la cultura riesce a mostrare la sua potenziale forza, creatrice e innovativa. Quindi invece che tagliare sulla cultura e la formazione e ostacolare i giovani che vorrebbero buttarsi nelle arti e nello spettacolo, forse bisognerebbe anche in Italia finanziare e promuovere i talenti, portatori di una forma di cultura diversa da quella culinaria e museale che sembra andare tanto di moda ultimamente (e che sembra attrarre tanti turisti). E chissà che così non nascano più facilmente nuovi Totò o De Filippo! O magari nuove eccellenze nel mondo della ricerca potranno condividere le loro esperienze dal loro paese natio! Inutile dire che a Edimburgo e in generale in Scozia, sono tantissimi i ricercatori italiani.
Ma soprattutto viene da chiedersi, che peso ha e può avere la cultura nell’orientare le politiche? E quanto siamo, sottilmente e inconsciamente, influenzati dalle tendenze culturali in ogni decisione che prendiamo e giudizio che diamo? Gli antropologi potrebbero scrivere per ore e ore su questi temi. Sicuro è che se la politica italiana chiude gli occhi davanti alla rilevanza della cultura nel Bel Paese, non lo fa quando si tratta di strategia politiche, diplomatiche e commerciali, estere.
Questa prospettiva ci può inoltre stimolare a riflettere sui temi a noi di “A Scuola col Marsupio” tanto cari. Ma questo straniero e questo migrante, chi è? Di quale invasione si è tanto spaventati, se noi stessi siamo tra i primi invasori di altri lidi e anzi, abbiamo istituito veri e propri centri per l’iniezione della nostra cultura? Eppure, non mi pare che gli scozzesi siano più cattolici, meno britannici o siano stati in definitiva contagiati da qualche malattia italiana!
Articolo e foto di Lucia Imbriaco da Edimburgo