Continua la nostra mappatura delle realtà nate dal basso che si sono costituite scuole per stranieri a Bologna. Questa settimana al centro della nostra attenzione c’è Arcoiris, una scuola che già è entrata nei nostri articoli quando abbiamo raccontato la storia di Clarissa, una giovane insegnante volontaria. La scuola Arcoiris mi ha stimolato a riflettere sull’abbondante varietà di studenti dalle diverse vite biografiche che si rivolgono a loro, mostrandomi una fotografia della ricchezza di stranieri presenti sul territorio bolognese.
L’embrione di Arcoiris nacque da un gruppo di insegnanti, in pensione e non, che tenevano corsi gratuiti di italiano per lavoratori stranieri all’interno della Cgil. Con la volontà di allargare l’offerta di insegnamento di italiano non solo ai lavoratori Cgil, nel 2010 il primo nucleo si è costituito associazione. Il progetto è cresciuto, appoggiandosi e abbracciando altre realtà oltre il sindacato, come la Camera del Lavoro di Bologna, il Circolo del Pd Passe Partout e la biblioteca Jorge Luis Borges, aprendo la loro sede negli stabili del Centro Sociale Giorgio Costa (in via Azzo Gardino). Arcoiris lavora oggi in quattro centri, tenendo un totale di 7 corsi divisi su più livelli (dagli analfabeti a0 ai b1/b2), e accogliendo circa 200 studenti all’anno. Coinvolgono nell’insegnamento tirocinanti universitari e volontari che vogliono fare esperienza sul campo, arricchendo così le fila degli insegnanti con voci e metodologie differenti. La linea guida è un libro di testo redatto da loro stessi, modificato nel tempo per renderlo un punto di riferimento più aderente alla realtà dei suoi stessi alunni (con unità didattiche che integrano i temi dei documenti, sanità, scuole e altri, spesso priorità per gli stranieri appena arrivati).
Arcoiris riesce ad intercettare una numerosa varietà e ricchezza di studenti. Dalla sua nascita ha monitorato e registrato le origini, l’età e il sesso degli allievi, aggiornando ogni anno tabelle e grafici (reperibili sul sito dell’associazione). Inoltre, la quasi decennale esperienza di insegnamento gli ha permesso di farsi un’idea sulle situazioni di chi si rivolge a loro.
Isabella, presidente e insegnante storica dell’associazione, mi racconta infatti la suddivisione delle classi, commentando per macro-categorie le origini e le situazioni dei suoi studenti. Ci sono persone che si sono avvicinate all’italiano per lavoro, ma che non hanno mai dato alla lingua fondamenta grammaticali e strutture solide. Mi fa l’esempio di una badante, che ha imparato la lingua sommariamente, ma sente il bisogno di renderla più sicura e più fine. Simile è la storia di una coppia peruviana che ha una forte familiarità con l’italiano per via della vicinanza allo spagnolo, ma nessuna base teorica che gli permetta di distinguere in modo preciso le due lingue. Altri ancora partono da zero, motivati perché il compagno è italiano e vogliono essere più partecipi nella vita della famiglia allargata. Altre che, a seguito del matrimonio raggiungono il marito già stanziato in Italia, vogliono avere strumenti per interagire con la realtà in cui si sono trasferite. Poi ci sono esempi di uomini in Italia da molti anni, che si sono inseriti nel contesto lavorativo e hanno imparato direttamente sul campo la lingua, ma che non hanno strumenti per scrivere. All’opposto ci sono studenti laureati nel paese d’origine, con una forte scolarizzazione alle spalle che li rende avidi di un tipo di insegnamento grammaticale, che parte dal tradizionale testo fatto di regole e sintassi complesse, per raggiungere una conoscenza della lingua parlata precisa e attenta. Mi fa l’esempio del gruppo degli avanzati: composto da molti giovani fortemente scolarizzati, l’insegnante di Arcoiris li guida nell’analisi logica e grammaticale dell’italiano usando il testo Pinocchio di Collodi.
La situazione più difficile che hanno dovuto affrontare recentemente è stata con il flusso di migranti dell’Africa sub-sahariana. Spesso persone non scolarizzate e in condizioni di vita così precarie da ricordare un girone del limbo o dell’inferno dantesco: fermi “al sicuro” negli Sprar e nei Cas, ma immobilizzati, privati della possibilità di avere uno sguardo costruttivo per la propria vita, tanto nella quotidianità quanto nella progettazione del futuro, perché in attesa. Un’attesa assordante tra politiche migratorie scarsamente umane, un clima culturale sempre più discriminatorio, un desiderio di stabilizzarsi e riprendere in mano l’autonomia della propria vita, contrapposto all’impossibilità di farlo, perché fermi, in attesa.
I Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria) e gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiat) sono stati spinti a mandare i loro “ospiti” in centri che offrivano corsi di italiano gratuiti, senza prendere in considerazione la capacità o meno di queste scuole di prendersi cura di questo tipo di studenti. La priorità sembrava dimostrare i tentativi di tali stranieri di integrarsi nel sistema italiano, mostrare che non fossero “parassiti” sulle spalle degli “onesti lavoratori italiani”, più che il loro stesso bene. Il senso di prigionia di tali persone generato dal vedere le loro stesse vite indirizzate e gestite da altri non era di certo uno stimolo per imparare l’italiano.
Per venire incontro a queste condizioni più critiche, e non presentatesi precedentemente con tutta questa forza, gli insegnanti di Arcoiris si sono rivolti al centro CDlei per corsi di formazione, per capire quale tipo di metodologia si potesse adottare per muoversi verso i bisogni di queste persone. (Anche se, mi viene da aggiungere, non per forza tra i loro bisogni c’era il pensiero di imparare la lingua di un paese che non sapevano neanche se avrebbero vissuto per ancora molto tempo.)
La ricchezza di Arcoiris e la sua decennale esperienza sul campo monitorata con la raccolta di dati, mi ha permesso di riflettere sul concetto di “straniero”. Usando questa termine singolare è facile costruire l’immagine di una omogenea categoria di persone, dove poco importa il paese d’origine o la classe sociale, il proprio passato o il personale progetto migratorio, la situazione familiare o la personalità individuale. Una parola capace di livellare le sfumature della vita in un concetto non ben definito, capace di raccogliere diversi immaginari essenzializzati e riduttivi (un tipo di linguaggio strumentale per politiche discriminatorie). Forse una più attenta cura per le biografie delle persone potrebbe aiutare a creare dei servizi più aderenti ai loro bisogni, dare voce a queste persone potrebbe essere all’origine di una più profonda e ricca riflessione sulla società e la cultura che vogliamo costruire. Se non esiste uno straniero tipo, non può esistere neanche una unica metodologia didattica universalmente applicabile. Riflettere a partire dalle persone che si rivolgono a un servizio, non può che migliorare lo stesso servizio.
Articolo di Lucia Imbriaco,
ringrazio Valerio Ricci e Isabella Filippi per aver condiviso con me una porzione della loro esperienza e avermi permesso di conoscere la scuola Arcoiris un po’ più da vicino.