Questa settimana condividiamo con voi un’altra realtà nata dal basso che ha deciso di aprire una scuola di italiano per stranieri. By Piedi “Marina Gherardi” non è un’associazione, non è un ente istituzionale, non ha un’identità giuridica specifica. Si definiscono anarchici nei modi e lo dimostra la loro volontà di mantenersi distaccati da qualsiasi definizione politica o sociale per garantire un’apertura e una flessibilità che sia capace di accogliere tutti. La peculiarità è che per tutti non si intende solo ogni studente che si avvicina alla struttura con diversi bisogni, obiettivi, background biografici, culturali, sociali, economici e politici. Questo “tutti” è riferito anche agli insegnanti, liberi di entrare a far parte del progetto senza alcun tipo di discriminazione.
By Piedi nasce nel 2000 all’interno di una Chiesa Metodista di Bologna frequentata da molti stranieri (la Chiesa Metodista, integrata alla Chiesa Valdese, è un ramo del Protestantesimo, una confessione Cristiana minoritaria in Italia, ma molto più diffusa in Africa e nel mondo anglosassone). Lì, un gruppo di persone si sono interrogate su cosa potessero fare di utile per promuovere l’inclusione comunitaria e hanno individuato due strade percorribili: l’apertura di una mensa o l’avvio di una scuola. Essendo la prima molto dispendiosa si sono buttati sulla seconda.
Così hanno aperto il loro primo centro all’interno della Chiesa, vicino al Comune di Bologna, poi dopo il terremoto del 2012 si sono spostati in un locale più sicuro e spazioso in via Barozzi, per finire nell’attuale spazio in via de’ Buttieri nel 2015. Con una convenzione con il Comune di Bologna, siglata attraverso la Chiesa Metodista che dalla loro nascita li appoggia nelle attività, hanno adibito a scuola la sede attuale. Mai come in questo caso la parola “scuola“, con i diretti rimandi alle scuole pubbliche, è stata più appropriata. Le stanzette del locale fungono perfettamente da intime classi, e il preside, i bidelli e gli insegnanti sono le tre figure che le animano, insieme agli studenti ovviamente! Il preside formale si prende cura di mantenere compatta la gestione complessiva, i bidelli si occupano delle iscrizioni, di organizzare le classi e di gestire i turni degli insegnanti, e i maestri sono chiamati a svolgere le lezioni.
Complessivamente sono una 70ina gli addetti ai lavori. C’è chi viene dall’insegnamento nelle scuole e chi ha differenti esperienze lavorative anche lontane dal mondo della formazione e dell’educazione. Una buona parte è composta da pensionati, che essi stessi definiscono una condizione fondamentale e privilegiata per rendere questa iniziativa un vero e proprio lavoro. Per lavoro non si intende nell’accezione di tempo remunerato, perché tutto è gratuito a 360 gradi. La scelta di tale termine è riferito piuttosto alla volontà e possibilità di investire tempo ed energie di qualità nell’attività che promuovono. Si vogliono distaccare dalla parola “volontariato” perché secondo loro è troppo legata ad un’etica compassionevole, quando invece per loro l’attività che svolgono è prima di tutto egoista in quanto soddisfa un piacere personale.
L’approccio “anarchico” prima citato, è ravvisabile nella gestione e nel lavoro di questa abbondante frotta di insegnanti. Il gruppo è chiamato a raccolta per una residenza formativa e auto-riflessiva ad ogni inizio anno: per un intero week-end si ritrovano nell’agriturismo di un membro di By Piedi e riflettono sull’operato, sulle attività svolte e svolgibili, sui punti critici, sulla gestione organizzativa, sulle motivazioni che li portano lì e sugli obiettivi che vogliono porsi. Questo dimostra una volontà di creare comunità tra di loro, ma anche una forte propensione a non adagiarsi su abitudini e schemi funzionanti, per mettere sempre in discussione il loro lavoro al fine di migliorarlo anno dopo anno. Il tutto in una relazione più orizzontale possibile, dove ognuno fa il proprio, uniti dall’obiettivo comune di offrire una buona e accogliente scuola di italiano per tutti. Poi durante l’anno si organizzano gruppi di auto-formazione, per scambiarsi consigli sui metodi, riflessioni sulle difficoltà e sui punti di forza, per aggiornarsi con nuove letture sulla didattica, per mantenersi proattivi e sensibili a recepire nuovi stimoli. Un angolo è adibito a biblioteca interna alla scuola, dove sono radunati una serie di libri utili per la didattica, ma anche per avere un punto di riferimento sui metodi pedagogici. Il resto poi è lasciato all’autonoma creatività di ogni singolo insegnante.
Ad accogliere gli studenti ci sono i bidelli, che iscrivono ogni avventore alla scuola e gli propongono un test di valutazione della lingua per poterlo inserire nel livello più appropriato. Il test è un nodo cardine delle riflessioni dei membri della scuola, sotto questione continuamente: come farlo? Cosa valutare? In che modo strutturarlo e come porlo?
Una volta svolto, il nuovo studente viene inserito in uno dei 4 livelli proposti (A per gli analfabeti, poi 1°, 2° e 3°), con la piena apertura ad eventuali spostamenti se si considerano appropriati.
Gli studenti che passano ogni anno si aggirano intorno ai 400. Viene da sé che la varietà di formazione, scolarizzazione, esperienze di apprendimento, competenze, obiettivi e motivazioni sono fortemente variegate. Ci sono analfabeti forti di cultura orale che hanno sviluppato una veloce capacità di apprendimento delle lingue straniere, ci sono uomini che vogliono conseguire il diploma di terza media e vogliono arricchire le loro capacità linguistiche anche in forma scritta, donne che per il lavoro che fanno sono interessate a migliorare le capacità comunicative, altri ancora che hanno ricevuto una debole formazione scolastica e fanno fatica ad imparare nuove lingue magari perché in età avanzata, altri laureati nel paese d’origine ma che non conoscono l’alfabeto latino, e tanti altri casi. Questa diversità rende chiara la difficoltà di organizzare classi che possano venire incontro ai bisogni di ognuno, e i limiti che ogni test valutativo potrà presentare se unico per tutti. Così la scuola ha linee guida per organizzare e gestire le classi, ma ogni caso è valutato nella sua singolarità per cercare di garantire il miglior percorso possibile.
Nonostante la continua riflessione critica sul loro lavoro, sono consapevoli dei limiti delle loro attività. Talvolta però, gli stessi limiti nascono da una volontà di mantenere solidi i pregi. E quindi decidono fieramente di prendersi tutto il pacchetto, con i limiti e i pregi che ne conseguono!
Se come me, siete rimasti sorpresi dai numeri di questa scuola, che conta 70 lavoratori volontari e 400 studenti, allora ragioniamoci un attimo.
70 persone tra preside, bidelli e insegnanti (figure non cristallizzate) si sono aggregate nel tempo. Se il primo nucleo inizialmente contava 5 membri, nei suoi 18 anni di vita ha certamente avuto modo di crescere. Come? Accettando tutti. Mi raccontano infatti come durante l’ultima residenza abbiano chiesto ad ogni partecipante perché fosse lì. E per molti la risposta è stata “perché mi avete preso”. Un’affermazione che fa riflettere sulla voglia di fare e su come, citando le parole di Elisabetta -una delle fondatrici-, “anche noi italiani abbiamo bisogno di accoglienza”.
400 studenti è una cifra ancora più vertiginosa. Mi specificano che questo è il numero complessivo di persone che passano in media in un anno dalla scuola By Piedi, che siano restate un giorno o un anno. Perché registrano tutti? Per accrescere la percezione della grandezza della scuola? No, ma per azione politica. Negli anni, hanno visto come fosse necessario, per un immigrato in Italia, dimostrare attraverso documenti i tentativi di integrazione nella società italiana al fine di ottenere un permesso di soggiorno e altri tipi di riconoscimenti giuridici. Così loro, nei limiti del possibile e del loro spazio di azione, mantengono con cura il registro elettronico delle iscrizioni e delle presenze.
La scuola di italiano By Piedi “Marina Gherardi” ha a mio avviso una struttura particolare e credo che la sua peculiarità risieda nella volontà di costruire prima di tutto una comunità scolastica. Bidelli e insegnanti, residenze di riflessione, ricca varietà tra i membri del gruppo… Tutto funziona sotto l’egida di pochi principi fondamentali: il rispetto, la responsabilità, la passione. A mantenere compatto questo termitaio, che nell’apparente disordine ha un suo preciso e rassicurante ordine, credo che ci sia la capacità e la volontà di instaurare relazioni. Non c’è gerarchia, non c’è imposizione di univoci modelli di educazione, è assente una visione statica degli utenti a cui impartire lezioni di lingua (spesso sono gli studenti stessi i primi a dare suggerimenti su piccole migliorie) e nella sua sede si respira un’atmosfera di entusiasmo, passione e coscienza del proprio operato.
Lo dimostra il fatto che seppur si siano relazionati a me due dei fondatori della scuola, Guido -il preside- e Elisabetta, anche altri insegnanti presenti durante le mie visite hanno voluto partecipare, ascoltando, ricordando altri elementi che per loro era fondamentale che io sapessi, o mostrando entusiasmo e proponendo ulteriori iniziative in appoggio al progetto di noi di Sopra i Ponti.
Per questo ho ritenuto importante condividere la loro realtà in questi termini, raccontando la loro storia e la loro organizzazione. Chiaramente in questo articolo manca la prospettiva opposta: e gli studenti cosa ne pensano? Sono loro in fondo il fulcro di ogni scuola, per loro è pensata e per loro deve essere efficace, quindi la loro voce non va sicuramente dimenticata. Ma lo faremo, nella prossima puntata!
Articolo di Lucia Imbriaco
Ringrazio Guido Armellini e Elisabetta Cammelli, miei principali interlocutori, e tutte le persone che hanno voluto conoscerci e farsi conoscere