Tre anni fa la Scuola Newen nasceva tra i fondatori di Accoglienza Degna, uno dei primi focolai di attivisti a proporre alternative al sistema di accoglienza dei migranti, progetto che venne ospitato tra gli spazi del centro sociale Làbas. Tre anni sono molti se si pensa a quante cose sono cambiate, tra queste lo sgombero dell’ex Caserma Masini e la migrazione dei militanti di Làbas negli spazi di Vicolo Bolognetti. Accoglienza Degna voleva essere uno spazio abitativo per stranieri gestito insieme agli stessi stranieri che vi risiedevano. Oggi non è più presente, perché gli spazi sono cambiati e il Bolognetti non offre le stesse opportunità. Si è comunque trattato di un’iniziativa importante, che esemplifica il carattere distintivo del centro sociale e della sua azione politica, che ha sempre mirato a promuovere l’autodeterminazione, a radicare una mentalità di collaborazione tra il centro e gli abitanti del quartiere e a creare ambienti che potessero restituire la complessità di ogni fenomeno.
Il Làbas è un centro sociale noto alla cittadinanza bolognese. Nel 2012 i suoi attivisti avevano occupato l’ex caserma Masini, un enorme edificio in via Orfeo, rendendolo la base delle proprie attività, con l’obiettivo di far rivivere per la cittadinanza spazi abbandonati di proprietà di privati o dello Stato. Il Làbas è uno spazio di attivismo, discussione, riflessione, ma dal mio punto di vista, è soprattutto un luogo capace di dimostrare come strade alternative siano percorribili, come i cittadini non siano per forza una massa passiva e come la democrazia orizzontale e l’inclusione siano effettivamente capaci di far nascere fiori. Negli spazi della caserma è stato possibile fare molto.: per esempio, una sala divenne una pizzeria autogestita, un’altra una ciclofficina e un’ala in progressiva ristrutturazione venne dedicata al progetto di Accoglienza Degna. Quest’ultimo prendeva le mosse da una riflessione sulle problematiche e sulle contraddizioni delle politiche migratorie e dei sistemi di accoglienza. I suoi attivisti sono stati tra i primi a muovere le ormai note critiche verso i Cas e gli Sprar che stritolano il migrante in una condizione di passività e di immobilità. Hanno trasformato una parte dello stabile in stanze, dove hanno potuto trovare casa decine di persone e famiglie, invitando gli stessi abitanti a gestire l’ordine e la manutenzione. Fu proprio tra gli inquilini e gli attivisti impegnati nel progetto che emerse la necessità di fondare una scuola di italiano interna, affinché anche le voci dei migranti potessero diventare sempre più protagoniste delle proprie condizioni di vita nel territorio. L’autodeterminazione è forse il valore essenziale del progetto, che sottolinea la volontà di uscire dalle relazioni di potere che troppo facilmente si instaurano tra “padrone” e “ospite”, insegnante e studente. L’obiettivo era permettere che ad ogni persona fosse garantito il diritto alla libertà di parola e di espressione. Ironicamente, un gruppo illegale di attivisti ha fatto più strada nel garantire uno dei diritti fondamentali dell’uomo (e si noti bene non si parla di qualcosa di esclusivo per i cittadini di uno stato, ma si tratta di diritti universali inalienabili all’essere umano in quanto tale), di quanta ne abbia fatta in anni un governo legale che lavora sempre più ai confini fra la legge e l’arbitrarietà.
Nell’agosto del 2017 l’ex Caserma Masini è stata sgomberata. Fu incredibile la partecipazione (che uscì dai confini nazionali) a sostegno degli attivisti di Làbas e le manifestazioni popolatissime che chiedevano la riapertura del centro sociale. Il linguaggio delle istituzioni non si chinò: a sostegno dell’illegalità dell’occupazione di una proprietà privata considerarono indecente la possibilità di lasciarli indisturbati, soprattutto in vista di piani “innovativi” e “fondamentali” per il quartiere che avevano rivolto uno sguardo privilegiato proprio a quello stabile, ovvero l’apertura di un centro commerciale (oramai il rimpiazzo “standard” di ogni luogo rivitalizzato dal basso, si vedano esempi simili con le Ex Fucine Vulcaniche e il Cerchio di via Libia sotto il ponte di via Libia, o i progetti di cementificazione presso i Prati di Caprara). Così, nonostante il sostegno generale e diffuso alle iniziative del Làbas, il Comune mise le catene al cancello del centro sociale. Più fortunato di altri, il Làbas riuscì a negoziare con il Comune di Bologna per ottenere una nuova base per le sue attività, e nello stesso anno riesce a sbarcare a Vicolo Bolognetti. Gli spazi sono diversi, le possibilità più limitate, ma la creatività e l’energia per mettersi in gioco hanno dimostrato la loro forza anche qui.
La ricostruzione della storia recente di Làbas è cosa nota ai più, ma è solo ripercorrendola che è possibile capire da vicino il lavoro degli insegnanti nella scuola di italiano Newen.
Ho avuto modo di parlare con diverse ragazze, Agata, Claudia, Giorgia, Margherita e Chiara, alcune della vecchia guardia, altre invece più nuove al centro sociale. Si erano riunite in assemblea per discutere della scuola: come stesse andando, come migliorarsi, quali piani metodologici perseguire, come autoformarsi individualmente e collettivamente, e inevitabilmente anche altre questioni di carattere più generale all’ordine del giorno. Mi hanno raccontato innanzitutto la struttura della scuola: le classi sono divise per genere ma miste nella provenienza, in media vedono 25 studenti alla settimana che sono raccolti per livello di conoscenza linguistica. La metodologia utilizzata viene definita ludodidattica e mira a stimolare la fiducia in sé stessi e a lavorare su un apprendimento della lingua come un qualcosa di radicato nella realtà quotidiana, che possa essere subito utilizzata. Ogni lezione è preparata per garantire un insegnamento efficace per ogni suo alunno, con esercizi personalizzati e un imprescindibile momento di condivisione finale con tutto il gruppo. L’idea è che si creino anche relazioni sociali, che attraverso lo scambio si possano allargare gli orizzonti e si possa arricchire la capacità di mettersi in discussione e di esprimere il proprio pensiero.
Una condizione imprescindibile affinché questo tipo di scuole (libere e gratuite) funzionino è garantirne la flessibilità. Questo significa essere pronti mentalmente e didatticamente ad accogliere sempre una classe di studenti differente, nei numeri, nei volti e nelle esigenze. Le insegnanti ribadiscono la necessità di prendere in considerazione la parte emotiva, una dimensione fondamentale che richiede un piano pedagogico sempre pronto a cambiamenti, evoluzioni e trasformazioni. Per rimanere sempre aderenti alle esigenze reali degli studenti la struttura necessita una forte collaborazione fra insegnanti, fatta di comunicazione e responsabilità.
A rendere peculiare la scuola Newen del centro sociale Làbas è il suo chiaro e aperto atteggiamento politico. Questo approccio ha differenti risvolti tanto nella natura della scuola, quanto negli studenti che la frequentano. Ad essere continuamente messi al vaglio sono i metodi didattici e il ruolo che un insegnante mantiene in una classe. Per garantire l’orizzontalità e per non cadere in una relazione gerarchica di potere che vede il maestro impartire lezioni di comportamento, di correttezza e di valori attraverso la lingua, gli insegnanti cercano di eliminare la distanza con i propri alunni: il sapere che erge le volontarie al ruolo di insegnanti non è mai strumento di subordinazione, bensì mezzo di condivisione e strumento di eguaglianza. L’obiettivo, micro e macro, è sempre l’autodeterminazione. Quindi la lingua non può (e non deve) essere concepita che come uno strumento per esprimersi, per rendere la propria voce capace di farsi sentire come le altre, per rendere la propria esistenza dello stesso peso rispetto a quello degli altri, che già sono nati con tale conoscenza in mano (mi riferisco a persone nate in Italia). Ed è compito delle docenti non tradire mai questo principio. Per far ciò la soluzione è molto semplice: trattare gli alunni non come stranieri da proteggere e salvaguardare, ma come persone. Ed ecco che il cerchio di coerenza partito dalla critica al sistema di accoglienza che si struttura in dinamiche passivizzanti, si richiude in questo sguardo sempre attento a non ricadere nella mentalità che tratta il migrante come altro da noi. E’ un percorso lungo e difficile, andare controcorrente rispetto ad abitudini, a comportamenti naturalizzati, ad azioni che sarebbero molto più semplici se non ci fosse sempre un attenzione etica e morale, non è semplice. Durante l’assemblea una ragazza ha fatto notare come da poco si fosse accorta di dare del “lei” ai negozianti italiani e del “tu” invece ai negozianti stranieri. Una piccola abitudine che rivela tanto: vogliamo mostrarci fratelli degli stranieri e per farlo li trattiamo in modo diverso rispetto a come le norme sociali ci hanno insegnato per rivolgerci a sconosciuti che svolgono una professione? Quanto è stato introiettato un approccio buonista e vittimista dello straniero anche tra chi mette sempre in discussione quotidianamente la costruzione del linguaggio, delle norme sociali e delle attività politiche?
Gli attivisti della scuola Newen cercano di andare oltre queste dinamiche affrontandole di petto: coraggiosamente analizzano le proprie abitudini e le premesse ideologiche che li accompagnano ogni giorno, chiedendosi che cosa voglia dire oggi essere antirazzisti. E allo stesso modo si presentano in classe, coinvolgendo i propri studenti in questo processo di formazione e di messa in discussione costante. Così propongono di leggere e confrontarsi insieme su quello che succede sul territorio, ambiscono a fare un’analisi collettiva del Decreto Sicurezza che coinvolge molti stranieri in prima persona, cercano di stimolare costantemente la discussione, lasciando che ogni singolarità si esprima e rifluisca nell’unità del gruppo. In questo senso è stato fondamentale per gli insegnanti di Newen creare classi dalle origini miste: le differenze di pensiero e posizionamento sono tante tra persone provenienti da uno stesso paese, ma si moltiplicano esponenzialmente quando le nazionalità aumentano, dando un chiaro esempio di come ogni fenomeno possa essere letto in un’infinità di modi differenti. Ne è un esempio il “provocatorio” dibattito che le insegnanti sono riuscite a far nascere nella classe femminile alla domanda: “Cosa fareste se vi trovaste un giorno in un mondo senza uomini?”, da cui è seguita una riflessione morale e situazionale sull’aborto. Altri sono stati temi “caldi” che gli attivisti di Làbas hanno voluto proporre ai propri studenti rendendo chiaro il loro interesse a tutto tondo nei confronti dei fenomeni sociali, politici e culturali. Nella classe maschile hanno parlato, per esempio, di omosessualità, trovando diverse resistenze da alcuni studenti.
E’ chiaro che gli studenti di Newen non entrano in una scuola che è solo scuola. Entrano in un luogo che tratta ogni questione in modo trasversale e con la stessa forza critica e costruttiva, senza mai dimenticare quanto valore sociale, culturale e politico ogni parola, azione e attività racchiude in sé. Ed è questo che il Làbas riesce a offrire in più rispetto ad altre realtà: nel suo microcosmo riproduce la fluidità del mondo esterno. Così se c’è una scuola di italiano per stranieri, allora a fianco ci saranno uno spazio dedicato ai bambini e al doposcuola (Làbimbi) e uno adibito a sportello per i diritti.
La filosofia degli insegnanti di Làbas è che attraverso la condivisione si può creare fiducia, e attraverso la fiducia si può avere l’apprendimento. Ho lasciato l’assemblea mentre era in corso una riflessione sull’antirazzismo e l’antisessismo, si scambiavano proposte per nuove iniziative e materiali per approfondire i temi della didattica e del rapporto intersoggettivo. La scuola è un esempio di come lavora il centro sociale, capace di radunare persone di diversa età, provenienza e background formativo per agire collettivamente verso obiettivi comuni. Oggi Làbas sta facendo sentire forte la sua voce anche nei percorsi migratori, con la nave Mediterranea che salpa nel mare che da anni inghiottisce migliaia di persone in un immobilismo e ignoranza politica che fa riflettere su cosa voglia dire essere umani nel nuovo millennio. Il Làbas nasce da forme di illegalità, da occupazioni, resistenze politiche e antisistemiche, ma forse quando le maglie delle istituzioni si stringono fino a tradire i principi universali di dignità umana, è proprio ora di riformulare il concetto di moralità politica.
Articolo di Lucia Imbriaco
Ringrazio caldamente le ragazze che hanno condiviso con me il loro lavoro e gli attivisti di Làbas che investono tempo ed energia per la cittadinanza e non solo.